Al datore di lavoro è sempre ammesso l’accesso alla posta elettronica aziendale in uso al dipendente?

Se da un lato l’art. 41 della Costituzione sancisce il principio della libertà di iniziativa economica del datore di lavoro, purché esercitata nel rispetto della libertà e dignità umana, dall’altro gli art. 2104 e 2105 del Codice Civile elencano i tre doveri, “diligenza, obbedienza e fedeltà”, che ogni dipendente deve rispettare nell’espletamento della propria attività lavorativa.

Si tratta però solo di una apparente dicotomia.

Al datore di lavoro viene attribuito il potere di controllo, insieme a quello direttivo e disciplinare, per consentirgli non solo di verificare l’esatto adempimento, da parte del lavoratore, dei doveri che è tenuto a rispettare in ragione del rapporto di lavoro, ma anche di esercitare l’eventuale azione disciplinare, così come previsto dall’art. 2106 c.c. e dall’art. 7 dello Statuto dei Lavoratori.

Il potere di controllo del datore di lavoro non è però assoluto e si contrappone al diritto di riservatezza, della dignità personale, della libertà di espressione e di comunicazione dei dipendenti.

Il datore di lavoro deve quindi esercitare il potere di controllo in modo tale da non ledere i diritti fondamentali del lavoratore.

Nell’ambito di un controllo difensivo, volto ad accertare se il dipendente abbia tenuto o meno un comportamento anche solo potenzialmente lesivo dell’immagine e/o del patrimonio aziendale, quindi nell’esercizio del diritto di difesa in sede giudiziaria, è ritenuto giuridicamente corretto e legittimo l’accesso alla posta elettronica aziendale in uso al lavoratore da parte del datore, sempre che non venga meno ogni forma di garanzia della dignità e riservatezza del dipendente.

Si tenga inoltre conto che il datore di lavoro e i suoi delegati devono poter avere accesso in qualsiasi momento all’e-mail aziendale in uso al dipendente, trattandosi di uno strumento di lavoro a tutti gli effetti e dovendo essere garantita la continuità aziendale anche in assenza del lavoratore.

La riconducibilità della casella postale in capo all’azienda consente di escludere la sussistenza del reato di violazione dell’altrui corrispondenza (art. 616 c.p.) per mancanza dell’altruità. 

Il Decreto Legislativo n. 151/2015, c.d. Jobs Act, ha infatti previsto che in presenza di “strumenti di lavoro” non operi il filtro dell’accordo con le organizzazioni sindacali e che le informazioni così raccolte possano essere utilizzate per “tutti  i  fini  connessi  al  rapporto  di  lavoro” a condizione che venga fornita al lavoratore idonea informativa.

Il datore di lavoro, inoltre, può esercitare il controllo anche se il collegamento avviene su un device di proprietà del dipendente. Se il lavoratore, ad esempio, accede all’account di posta elettronica aziendale dal proprio cellulare, il contenuto dei messaggi può comunque essere soggetto a controllo da parte del datore, sempre previa dettagliata informativa.

Il datore di lavoro non può mai leggere le mail dell’account personale del dipendente, anche se questi vi accede da un computer o telefono aziendale.

Inoltre il datore di lavoro ha l’obbligo di cancellare i dati a sua disposizione ogni qual volta in essi non ravvisi alcun illecito disciplinare, pertanto li può conservare solo ed esclusivamente per il tempo necessario ad eseguire i controlli e non oltre. Non è legittimo alcun trattamento che esuberi le finalità di controllo.

A fronte della cessazione del rapporto lavorativo, il datore deve chiudere l’account aziendale che il dipendente aveva in uso. In ogni caso, per evitare la perdita di eventuali mail in arrivo, il datore potrà predisporre un messaggio, generato automaticamente dal sistema, che inviti il mittente ad inoltrare la comunicazione ad altro utente.

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