Il “presso terzi” è considerato il mezzo più conveniente, a livello di tempi e di costi, per recuperare un credito esigibile.

 

Prima di aver ottenuto la dichiarazione positiva delle banche o di Poste Italiane circa le somme presenti sui conti, è ammesso il pignoramento di più rapporti di conto corrente intestati al debitore, contemporaneamente.

 

Di norma, il creditore procedente ricorre al presso terzi, pignorando direttamente il conto corrente del debitore, perché se sul conto del debitore non vengono unicamente accreditati lo stipendio e/o la pensione, il creditore non sarà costretto ad accontentarsi unicamente del quinto di ogni mensilità, vedendo soddisfatte le proprie pretese creditorie in tempi più snelli.

 

Il creditore che intende procedere al pignoramento presso terzi, nei casi in cui il debitore sia titolare di più conti correnti, può bloccare contemporaneamente tutti i conti del debitore, anche se così facendo il pignoramento dovesse risultare eccessivo o sproporzionato rispetto all’ammontare del credito.

 

A sostenerlo è il Tribunale di Torino con l’ordinanza del 7.11.2016 che sotto riportiamo integralmente per comodità di consultazione.

 

Per conoscere dove il debitore intrattiene rapporti di conto corrente bancario o di conto corrente postale, è sufficiente rivolgersi ad affermate società di informazioni commerciali come Servizisicuri.com e richiedere il servizio di rintraccio conto corrente, anche on-line, accedendo all’innovativo e-commerce.

 

Una volta ottenuto l’esito della ricerca conti correnti intestati al debitore, nulla osta alla notifica di pignoramento a tutte le banche o uffici postali rilevati, contemporaneamente, in attesa di ricevere le tanto auspicate conferme di capienza, anche se il pignoramento dovesse alla fine risultare “eccessivo”.

 

Il Tribunale di Torino ha infatti chiarito che il pignoramento eccessivo non è illegittimo di per sé, lo è piuttosto se il creditore dovesse agire in forza di un credito prescritto o adempiuto.

 

Certamente, fintanto che non interviene il provvedimento del giudice, i soldi in banca restano bloccati e sono indisponibili sia per il creditore che per il debitore. Ed è questa la ragione per cui, nel caso di “pignoramento eccessivo”, non si ravvisa una lesione dei diritti del debitore.

 

Nel caso di specie, un creditore aveva notificato l’atto di pignoramento a diciannove banche contemporaneamente, tanto che quattro istituti avevano reso una dichiarazione positiva. L’importo complessivamente bloccato, con i pignoramenti presso terzi, era però maggiore del credito vantato, aumentato della metà. Così la società debitrice aveva chiesto che l’esecuzione forzata fosse limitata al pignoramento presso un determinato istituto bancario, mentre il creditore procedente ne aveva indicato un altro.

 

In base al codice di procedura civile, è però il creditore a decidere quali beni del debitore pignorare e non quest’ultimo. La scelta del conto corrente o dei conti correnti da sottoporre ad espropriazione forzata spetta quindi esclusivamente al creditore. Il debitore può unicamente chiedere la riduzione del pignoramento.

 

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TRIBUNALE ORDINARIO DI TORINO
Sezione VIII civile

Ufficio Esecuzioni Mobiliari Il Giudice dell’Esecuzione,

sciogliendo la riserva assunta all’udienza del giorno 3 novembre 2016;

letti gli atti di causa,

ritenuta la propria competenza,

emette la seguente;

ORDINANAZA
nel procedimento n. 26046/2016 R.G.
Come noto, se il pignoramento è stato eseguito presso più terzi, il rimedio di natura speciale apprestato al debitore, qualora i beni superino complessivamente il valore del credito fatto valere, è quello di cui all’art. 546, comma secondo, c.p.c., che riconosce al giudice la facoltà di disporre la concentrazione dell’esecuzione in relazione ad uno o più beni presso uno solo dei terzi pignorati, ovvero di ridurre proporzionalmente ciascun pignoramento presso terzi.
Nella fattispecie, il debitore ha chiesto di limitare il pignoramento al solo conto corrente presso Unicredit spa, mentre la difesa del creditore procedente all’udienza fissata ex art. 548 c.p.c. ¬ ottenute le dichiarazioni dei terzi pignorati ¬ ha insistito per l’assegnazione delle somme giacenti presso (…) spa ed ha dichiarato di “rinunciare agli altri terzi”. Anche se la rinuncia al pignoramento non richiede l’accettazione del debitore esecutato, la divergenza tra i conti correnti di cui si chiedeva lo svincolo (tutti tranne (…) spa per il debitore e tutti tranne (…) spa per il creditore procedente) è di per sé sufficiente per ritenere sussistente l’interesse ad agire del debitore esecutato nel presente giudizio.
Ancora e soprattutto, occorre considerare che la rinuncia agli atti effettuata dal creditore procedente all’udienza del 24 ottobre 2016, seppur valida ed efficace, non è sufficiente per liberare i terzi pignorati dagli obblighi di custodia di cui all’art. 546 c.p.c., non essendo i terzi pignorati “parte” del processo esecutivo. La giurisprudenza sul punto è pressoché pacifica, tanto che si evidenzia che “il terzo pignorato per assumere la qualità di parte necessaria deve avere “interesse all’accertamento dell’estinzione del suo debito” (come nel caso il cui egli abbia soddisfatto il suo creditore prima della notifica del pignoramento e dell’opposizione agli atti esecutivi proposta dal creditore procedente avverso l’ordinanza del giudice dell’esecuzione che abbia respinto l’istanza di assegnazione del credito ed il terzo invochi l’inoppugnabilità di detta ordinanza ¬ per non esser costretto a pagare di nuovo al creditore del suo debitore), ma non può assumere la posizione di parte in relazione alla sua qualità di custode ancorché interessato alle vicende del processo per adeguarvi il suo comportamento (e cioè pagare al suo creditore a processo estinto, ovvero al creditore indicato nell’ ordinanza di assegnazione, se non ne è stata sospesa l’ efficacia a seguito dell’opposizione)” (cfr Cass. civ., Sez. III, 25 luglio 2003, n. 11558, nonché Cass. civ., Sez. III, 16 settembre 2005, n. 18352; Id., Sez. III, 16 maggio 2006, n. 11360; Id., Sez. III, 12 febbraio 2008, n. 3276; Id., Sez. III, 19 maggio 2009, n. 11585). La Corte di Cassazione ha addirittura statuito che “similmente a quanto avviene per la fattispecie estintiva prevista dall’art. 306 c.p.c., quella prevista dall’art. 629 c.p.c. non si perfeziona con la semplice rinuncia ed è necessario il provvedimento del giudice (Cass. civ., Sez. III, 14 marzo 2008, n. 6886, che ha affermato, nella vigente formulazione dell’art. 499 c.p.c., che “fino a quando non è emesso tale provvedimento i creditori possono intervenire”).
Ciò premesso, occorre quindi stabilire a quale delle parti necessarie del giudizio di esecuzione spetti l’onere di comunicare l’avvenuta rinuncia ai terzi pignorati, che legittimamente potrebbero non presenziare all’udienza ex art. 548 c.p.c. per aver già reso le dichiarazioni di loro competenza (come nel caso di cui si discute).
In assenza di un’espressa previsione di legge, non pare potersi aderire alla tesi del creditore procedente secondo cui tale onere spetti al debitore esecutato quale unica parte che si avvantaggia della rinuncia al pignoramento, e ciò a maggior ragione nel caso di specie in cui non è ancora stato emesso alcun provvedimento di estinzione (neppure parziale) della procedura esecutiva.
La differente soluzione risulta infatti conforme alla previsione dettata in tema di inefficacia del pignoramento per mancato deposito della nota di iscrizione a ruolo che impone al creditore procedente (seppur senza indicare la sanzione) l’obbligo di “farne dichiarazione all’eventuale terzo mediante atto notificato” entro cinque giorni dalla scadenza del termine (art. 164 ter disp. att. c.p.c.).
Per questi motivi si rigetta l’eccezione preliminare di carenza di interesse ad agire e si esamina il merito del ricorso. Costituisce circostanza non contestata in causa (e risultante dalle dichiarazioni di terzi prodotte) che il pignoramento presso diversi terzi ha ottenuto l’effetto di sottoporre a vincolo un importo eccessivo rispetto al credito per cui si procede aumentato della metà (art. 546 comma primo c.p.c.), e quindi la richiesta del debitore esecutato di dichiarare l’inefficacia di alcuni pignoramenti merita accoglimento.
Nel rispetto del principio generale secondo cui la scelta del mezzo di espropriazione spetta al creditore (art. 483 c.p.c.), ed in assenza di motivi tali da ritenere preferibile il mantenimento del vincolo sul conto corrente (…) spa anziché sul conto corrente (…) spa (come richiesto dal creditore procedente), si dichiara l’inefficacia di tutti i pignoramenti presso terzi ad eccezione di quello in essere presso (…) s.p.a. La valutazione delle rispettive domande di condanna alla responsabilità ex art. 96 c.p.c. impone una sintesi cronologica degli eventi. In data 20 settembre 2016, su istanza del creditore procedente, l’ufficiale giudiziario, alla presenza dell’avv. (…), eseguiva il pignoramento mobiliare presso la sede legale della società debitrice con esito negativo in quanto l’avv. (…) dichiarava che “allo stato la banca esecutata non intende provvedere al pagamento della somma precettata” e che “non vi è denaro contante” non avendo l’istituto bancario pignorato sportelli aperti al pubblico (doc. 2); in tale occasione l’ufficiale giudiziario invitava il “procuratore speciale” avv. Clementi a rendere la dichiarazione di cui all’art. 492 comma quarto c.p.c. e l’avv. (…) si “riservava di renderla nei termini di legge”.
In data 26 settembre 2016 il creditore procedente predisponeva pertanto un atto di pignoramento presso terzi che veniva notificato alla società debitrice in data 3 ottobre 2016 (doc. 1).

In data 4 ottobre 2016, l’avv. (…) si recava dall’ufficiale giudiziario per rendere la dichiarazione ex art. 492 comma quarto c.p.c. ed indicava la presenza di un conto corrente presso (…) spa, filiale nord¬ovest di Torino (doc.2).

In data 6 ottobre 2016 il terzo pignorato (…) spa comunicava via pec la dichiarazione positiva per la somma di Euro 23.643.019,68 (doc. 4 bis); seguivano le dichiarazioni positive di (…) (13 ottobre 2016, per la somma di Euro 23.643.019,68 (doc. 5 parte convenuta), Banca d’Italia e (…) (12 ottobre 2016).

Come già detto, all’udienza ex art. 548 c.p.c. del 24 ottobre 2016 il creditore procedente dichiarava di rinunciare all’assegnazione delle somme depositate presso (…) spa, Banca d’Italia e (…). L’aver notificato un atto di pignoramento presso terzi durante il termine assegnato al debitore esecutato per rendere la dichiarazione ex art. 492 comma quarto c.p.c. non solo non viola alcuna disposizione di legge, ma costituisce esercizio del legittimo diritto del creditore procedente di tentare di recuperare in via forzosa il proprio credito atteso l’esito negativo del pignoramento mobiliare già eseguito, e ciò a maggior ragione avuto riguardo alla dichiarazione resa dal procuratore speciale secondo cui “allo stato la banca esecutata non intende provvedere al pagamento della somma precettata” Del resto, il termine di giorni quindici invocato dalla difesa di parte ricorrente non è indicato nell’art. 492, comma quarto, c.p.c., bensì è previsto nell’art. 388, comma sesto, c.p.p. quale termine entro il quale deve essere resa la dichiarazione per non incorrere nella sanzione penale. Parimenti del tutto legittima, e vieppiù giustificata dal comportamento del debitore esecutato che ha reso la dichiarazione in data 4 ottobre 2016, ossia a distanza di quattordici giorni dall’invito ricevuto il 20 settembre 2016 (ossia il giorno precedente quello indicato dall’art. 388 comma sesto cpp), è la scelta del creditore procedente di notificare un atto di pignoramento presso molte banche, compresa la Banca d’Italia, non essendo ovviamente il creditore procedente in grado di conoscere in anticipo l’esito del pignoramento. Nella fattispecie, su diciannove istituti bancari pignorati soltanto quattro hanno reso una dichiarazione positiva e, quindi, se il creditore procedente si fosse limitato a notificare un pignoramento presso terzi ad un numero inferiore di istituti bancari avrebbe verosimilmente ottenuto un nuovo esito negativo del recupero forzoso del credito. Del resto, il c.d. pignoramento “eccessivo” non è illegittimo di per sé, tanto che per contemperare il diritto del creditore di agire per la realizzazione del credito e quello del debitore di non subire un ingiustificato pregiudizio dall’esecuzione, la legge attribuisce al debitore esecutato la facoltà di chiedere al giudice dell’esecuzione la riduzione del pignoramento nelle forme di cui agli artt. 483, 496 e 546, comma secondo, c.p.c.. Questo giudice conosce e condivide la giurisprudenza richiamata dalla difesa di parte ricorrente, ma ritiene che non possa trovare applicazione al caso in questione, non fosse altro perché se il debitore esecutato avesse senza indugio comunicato all’ufficiale giudiziario l’istituto bancario presso il quale era depositata una somma sufficiente, anziché attendere ben quattordici giorni, il creditore procedente non sarebbe stato costretto a notificare l’atto di pignoramento presso terzi ai diciannove istituti bancari. In particolare, la Corte di Cassazione ha chiarito che “nell’ipotesi di pignoramento eseguito in modo da sottoporvi beni di valore eccedente il credito per cui si procede, non si ha un caso di esercizio dell’azione esecutiva per un credito inesistente e, quindi, il mezzo per dolersi di tale eccesso non è una domanda di opposizione all’esecuzione, da proporsi al giudice della cognizione, ma una domanda da presentare al giudice dell’esecuzione, in base agli artt. 483 e 496 cod. proc. civ., per ottenere la liberazione dei beni dal pignoramento o la sua riduzione” e ha quindi affermato che “non essendosi in presenza di un esercizio di azione esecutiva in assenza di credito, non è configurabile una responsabilità processuale aggravata per colpa in base all’art. 96, secondo comma, c.p.c.”. La Corte di Cassazione ha tuttavia spiegato che, “in presenza di un eccesso nell’impiego del mezzo esecutivo connotato da dolo o colpa grave, è giustificata non solo l’esclusione dall’esecuzione dei beni sottopostivi in eccesso, ma anche la condanna del creditore procedente per responsabilità processuale aggravata, la quale può essere pronunciata dallo stesso giudice con il provvedimento che, riguardo ai beni liberati dal pignoramento, chiude il processo esecutivo, restando la difesa del creditore affidata all’opposizione agli atti esecutivi” (Cass. civ., Sez. III, 3 settembre 2007, n. 18533, che ha illustrato tale principio con riferimento ad un pignoramento immobiliare ritenuto eccessivo). Nella motivazione, il Supremo Collegio ribadisce quanto più volte statuito secondo cui “il creditore pignorante è legittimato ad espropriare più di quanto sarebbe necessario per soddisfare il suo credito e il giudice cui sia richiesta la riduzione del pignoramento deve tener conto di questa eventualità nell’esercizio del potere discrezionale di cui all’art. 496 cod. proc. civ., senza che possa ritenersi sussistente l’illegittimità del procedimento per il solo fatto del pignoramento di beni immobili in eccesso” (Cass. civ., Sez. III, 22 febbraio 2006, n. 3952, nonché Cass. civ., Sez. III, 14 luglio 2003, n. 10998, in tema di cumulo di pignoramento mobiliare ed immobiliare). Per quanto qui interessa, si è ritenuto che “il creditore che abbia iscritto ipoteca per una somma esorbitante o su beni eccedenti l’importo del credito vantato non può essere chiamato, per ciò solo, a risponderne a titolo di responsabilità aggravata ai sensi dell’art. 96, comma secondo, c.p.c., restando possibile, peraltro, configurare a carico del medesimo una responsabilità processuale a norma dell’art. 96, comma primo, c.p.c., qualora egli abbia resistito alla domanda di riduzione dell’ipoteca, con dolo o colpa grave” (Cass. civ., Sez. I, 30 luglio 2010, n. 17902). Anche recentemente si è riconosciuta la responsabilità aggravata ex art. 96 comma secondo c.p.c. del creditore che, senza adoperare la normale diligenza, ha iscritto ipoteca su beni per un valore sproporzionato rispetto al credito garantito, secondo i parametri previsti dagli artt. 2875 e 2876 c.c., ma soltanto “qualora sia accertata l’inesistenza del diritto per cui è stata iscritta l’ipoteca giudiziale medesima ” (Cass. civ., Sez. III, 5 aprile 2016, n. 6533). Riassumendo, quindi, si evidenzia che nessuna delle fattispecie portate all’attenzione della Corte di Cassazione atteneva all’ipotesi di un pignoramento presso terzi e ciò si spiega avuto riguardo al fatto che questa è l’unica ipotesi in cui il creditore procedente non conosce, neppure in via approssimativa, l’entità dei beni che intendere sottoporre a vincolo, ed inoltre la responsabilità aggravata è stata riconosciuta soltanto nell’ipotesi in cui il creditore procedente si era opposto all’accoglimento della domanda di riduzione del mezzo di espropriazione. Nel caso in questione, il creditore procedente non solo non si è opposto alla domanda, ma ha addirittura rinunciato alla richiesta di assegnazione per le somme pignorate in eccesso (cfr verbale udienza 24 ottobre 2016). Del resto, il fatto che alla rinuncia non abbia fatto seguito l’immediato provvedimento di estinzione (parziale) dell’esecuzione è la conseguenza dell’assunzione a riserva della decisione da parte del giudice dell’esecuzione e tale scelta è assolutamente legittima e doverosa avuto riguardo alla molteplicità di questioni sottoposte alla sua attenzione da parte della difesa del debitore esecutato (pendenza di giudizio per la revoca dell’esecuzione provvisoria del titolo, per la richiesta di cauzione, reclamo avverso la decisione di rigetto di sospensione dell’esecuzione). Anche nel presente giudizio ex art. 546 comma secondo c.p.c. il creditore procedente ha ribadito la rinuncia già effettuata all’udienza del 24 ottobre 2016 e la circostanza che non abbia aderito all’invito di controparte (doc. 5, pec del 5 ottobre 2016) di rinunciare immediatamente, ossia prima dell’udienza ex art. 548 c.p.c., non è sufficiente per ritenere sussistente il dolo o la colpa grave, e ciò a maggior ragione visto che alla data del 5 ottobre 2016 il creditore procedente non aveva neppure ancora ricevuto le ulteriori dichiarazioni positive, pervenute soltanto il 12 e 13 ottobre 2016. Per questi motivi si rigetta la domanda di responsabilità aggravata proposta dalla difesa di parte ricorrente. Per quanto attiene all’identica domanda proposta dalla difesa di parte convenuta, si precisa quanto segue. Tutte le considerazioni relative alla pretestuosità delle iniziative giudiziarie intentate dalla controparte diverse dalla presente non possono essere valutate in questo giudizio. Come già detto, il ricorso ex art. 546, comma secondo, c.p.c. è il rimedio speciale accordato al debitore esecutato per limitare gli effetti di un pignoramento presso terzi avente ad oggetto somme eccessive rispetto al credito e, di conseguenza, atteso l’esito eccessivo del pignoramento eseguito dal creditore procedente, il debitore esecutato ha utilizzato correttamente lo strumento processuale previsto per far valere il suo legittimo diritto di ottenere la dichiarazione di inefficacia dei pignoramenti “in eccesso”. Nella fattispecie, l’avvenuta rinuncia al pignoramento delle somme “eccessive” ¬ così come espressa dal creditore procedente ed in assenza della dovuta comunicazione ai terzi pignorati ai fini della liberazione del vincolo ¬ non è sufficiente per giustificare la carenza di interesse ad agire da parte del debitore esecutato e, di conseguenza, non si ravvisa alcuna temerarietà della domanda, tanto che la medesima è stata accolta. Si dispone la compensazione integrale delle spese di lite avuto riguardo alla complessità della questione giuridica affrontata (efficacia nei confronti dei terzi pignorati della rinuncia al pignoramento in assenza di comunicazione da parte del creditore procedente) ed in considerazione della soccombenza reciproca delle parti per le domande di condanna ex art. 96 c.p.c. (domanda richiesta dalla difesa di parte ricorrente nella rilevante somma di oltre Euro 10 milioni).
P.Q.M.
visto l’art. 546, comma secondo, c.p.c.

rigetta l’eccezione preliminare di carenza di interesse ad agire;

dichiara l’inefficacia dei pignoramenti eseguiti dal creditore procedente presso tutti i terzi pignorati, ad eccezione di quello eseguito presso (…) spa,

rigetta le domande ex art. 96 c.p.c. proposte dalle parti; spese di lite interamente compensate. Si comunichi.

Così deciso in Torino, il 7 novembre 2016.

Depositata in Cancelleria il 7 novembre 2016.